Le statistiche del trenino: primo capitolo

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Le statistiche del trenino: primo capitolo

Ecco il primo capitolo de “Le statistiche del trenino“.
Se vi siete persi il prologo lo trovate qui.
BluttaBlatta vi augura buona lettura.

Gennaio

Lucia avanza lentamente.
Il cielo è ancora buio, i fiocchi si fanno via via più numerosi e la strada da percorrere è ancora lunga. È il 2 gennaio di un non meglio precisato anno. Lucia ha sempre odiato il Capodanno e l’obbligo di stilare una lista di buoni propositi che fa da contraltare agli obiettivi raggiunti e mancati dell’anno precedente.

Per anni ha fatto parte della schiera di quegli acerbi scrivani. Ricorda ancora, con un sorriso a metà tra lo scherno e il rassegnato, una lista di buoni propositi di molti anni prima: 

1) Dimagrire
2) Trovare più tempo per sé stessa
3) Non arrabbiarsi per cose di poco conto 

Sani e buoni propositi. Tutti miseramente falliti.
Di dimagrire neanche se ne parla più, il tempo è un miraggio e l’arrabbiatura una costante nella sua vita. Lucia si perde lungo il groviglio dei ricordi e alla mente affiora un’immagine, quasi un sogno. Anni prima aveva desiderato ardentemente essere indipendente al punto da affrontare un viaggio a piedi, da sola.
No: non completamente da sola. Avrebbe voluto avere un cane e così, a sei zampe, partire. Il sorriso di scherno diventa quasi tenero. Ormai non sogna più. Sa bene che non riuscirà mai a realizzare quelle che erano le sue aspirazioni, morte e sepolte da tempo.
Il fisico non aiuta, la mente a tratti vacilla e il portafoglio si svuota. 

È arrivata. Lucia è arrivata al lavoro.
Prima di venir fagocitata all’interno del palazzone grigio e fatiscente, si ferma e sospira. Neanche sospirare le riesce più con forza. Alzando gli occhi segue il lento cadere di un piccolo cristallo di ghiaccio. Un fiocco perfettamente e geometricamente formato. Per un attimo rimane incantata. Come è bello. Come è perfetto.
Pace, una bianca figura di pace per un attimo la pervade. Emozionarsi per il bello del mondo a ben pensarci le manca. Ma come trovare la chiave per riaccendere la luce?

A un tratto Lucia viene folgorata da un’idea: ci vuole un cane.
“Ma come un cane? Ma da dove tiri fuori queste idee balzane?”
Lucia scuote la testa, indossa la sua maschera di solita insoddisfatta professionalità e varca la soglia delle 8 ore di quotidiano tormento. L’anima sorride. 

L’ufficio di Lucia è un microcosmo di animali velenosi e piante carnivore.
La belloccia di turno, lo sfigato di repertorio, lo stronzo d’inventario. Ormai li conosce.
Conosce ogni angolo e ogni recesso di un mondo atrofizzato e senza più stimoli. È brava nel suo lavoro, forse troppo, ma non ha più passione per nulla e il risultato ne risente.
Un tempo era creativa, ora è monotona. Un tempo era precisa, ora è ipercritica.

“Lucia? Pausa caffè?”
È Mirco. Buono come un pezzo di pane, simpatico a tratti, logorroico per principio.
Lucia non rifiuta quasi mai un momento con lui. Non per proprio piacere, in realtà, ma perché percepisce inconsciamente l’anima persa e solitaria che si nasconde dietro un corpo pingue, più simile ad un armadio che ad un uomo, sormontato da una zazzera di capelli neri e ispidi.

“Caffè sia!”
E insieme si dirigono alla sala mensa. Due chiacchiere inconsistenti finché…
“Un cane? Stai parlando sul serio di prenderti un cane?”
Lucia annuisce confusa. Sì, sta parlando di prendere un cane, ma neppure lei sa come abbiano fatto ad uscire quelle parole dalla sua bocca. Le ha dette lei, non c’è dubbio, ma senza volerlo. Sono uscite: punto e basta.

“Sì, cioè no. Insomma è solo un’idea…” Si schermisce. Mirco la guarda da dietro i suoi grossi occhiali demodé.
“È una bella idea. Credo tu sia impazzita, ma l’idea è bella.”
“Ma io non sono sicura, non intendevo…”
Ecco che si avvicina lo stronzo d’inventario. Meglio sgombrare il campo. Lucia e Mirco lo sanno bene. Battute taglienti non vengono risparmiate a nessuno così come leccate di culo di pura utilità. D’istinto si allontanano e con uno sguardo di reciproca intesa si avviano ognuno verso il proprio loculo.

La giornata passa noiosamente veloce. Lucia si destreggia tra incombenze e scadenze, relegando la “questione cane” in una parte remota della mente fino a sera. Torna a casa, stravolta e stanca. Per fortuna l’indomani è sabato e un’altra settimana si è conclusa, inconcludente e monotona come le precedenti. Una cena sciapa e veloce, una doccia d’obbligo e un lento sprofondare nel torpore notturno.
Prima di chiudere gli occhi un pensiero quasi soave trafigge la donna: “Il sonno è fratello della morte.”
Il sonno arriva, la morte – per ora – può aspettare. 

“E poi lui ha detto che… e l’altra ha fatto questo… e io allora…”
Lucia ha sconnesso l’audio. Mariella parla, parla e parla. Per lo più di umana miseria e con vendicativa malalingua. Questo è quello che succede a prendere il trenino sbagliato. Incontri alieni di terzo tipo che volentieri si eviterebbero, ma che è impossibile smaterializzare.

Le orecchie di Lucia non ascoltano più e la mente vaga. Gli occhi si stupiscono per una lucertola che scivola sul ghiaccio. Una lucertola in gennaio è un fatto buffo, se non addirittura strano. Probabilmente anche il rettile ha perso la tramontana.
Ma gli animali avranno poi un’anima?

Anni prima, all’università, c’era un ragazzo. Riccardo era fuori corso di 5 anni se non 6, ma questo non importava. Era coscienzioso Riccardo, ma soprattutto era appassionato di tutto: del mondo e della vita. Si perdeva in mille osservazioni e attribuiva un’importanza esagerata ad ogni essere vivente. Forse esagerata no: giusta.
Quell’importanza che spesso ci dimentichiamo di dare. Si sorprendeva per ore ad osservare la vita in una goccia d’acqua e trasmetteva la sua curiosità a chi, tra coloro che distrattamente lo incrociavano lungo il cammino, era disposto ad aprire il cuore e la mente al fascino della scoperta. A volte era un po’ noioso, ammettiamolo. Osservare per ore un’ape può anche condurre all’esasperazione. Sempre, però, traspariva da lui l’incanto: il fanciullino di Pascoli. Chissà che fine ha fatto.

A Lucia piace immaginarlo. Un professore stralunato, decisamente poco didattico e completamente incapace di portare a termine un programma annuale. Per non parlare delle valutazioni.
Uno di quei professori che ti rendono isterico con scadenze non rispettate, giudizi imprecisi e disorganizzazione totale.
Uno di quei professori che ti fanno amare la vita, che ti spalancano le porte della conoscenza, che ti conquistano lezione dopo lezione.
Non un professore: un Maestro.

“Chissà se è poi finita così.” si chiede Lucia.
“Ciao cara, buon lavoro!” Mariella finalmente è arrivata.
Lucia ha ancora parecchia strada da fare e, finalmente, in beata solitudine. Torna a pensare alla lucertola. Strano: è un particolare insignificante e probabilmente fino a ieri non lo avrebbe neppure considerato. Oggi, però, è diverso. Non sa perché, ma sa che oggi ci ha fatto caso. Sa che il rettile l’ha incuriosita e sa che in ufficio andrà a cercare su internet come mai le lucertole perdono la coda e soprattutto come fa a ricrescere?
Come può una cosa morta ricominciare a vivere di nuovo? 

Mirco piomba in reparto: “Me ne vado! Basta, me ne vado!”
La misura è colma per l’anima persa e ora forse ritrovata, che questa mattina ha rassegnato le dimissioni. Lucia ascolta. Ascolta il perché, il percome, il quando il “e se”. Apparentemente calma e ostentatamente fredda. Abbraccia Mirco, che affranto raccoglie la sua vita andata in pezzi. Non è il momento per pensarlo e ancora meno per dirlo, ma Lucia è convinta che sia stata l’unica cosa giusta da fare, un guizzo di insperato e inaspettato coraggio che non può che fare bene. La sua vita lavorativa era finita, è inutile girarci attorno. Qui non avrebbe potuto più fare e dare nulla di buono. Chiusa una porta, aperto un portone. Lucia si ferma nella sua riflessione. Sta parlando di lui o di sé stessa? Confusione, dubbio e nausea. 

Malessere, negatività e risentimento. Senza Mirco la vita lavorativa sarà un po’ più vuota e forse operativamente più difficile. Non sa perché, ma è sicura che umanamente sarà un po’ più facile. Due anime perse non si aiutano a vicenda, ma si rinforzano nella loro perversa convinzione, esasperando una situazione non agevole già di partenza. L’addio di Mirco è un trauma positivo. Scambio di convenevoli, abbracci intensamente frettolosi e l’inutile promessa di tenersi in contatto. Entrambi sanno che difficilmente si risentiranno di propria volontà. Magari si incontreranno per strada e seguirà un imbarazzato e veloce saluto. Non è colpa di nessuno. È così che si articolano i rapporti professionali confinati in un microcosmo aziendale. Vivono finché vive il rapporto di lavoro; muoiono con la scadenza del contratto.

Tutto sommato Lucia è sollevata. Ora è sola a combattere e deve sostenere solo sé stessa. Il prossimo passo, anche se ancora non lo sa, è svegliarsi dal torpore ormai innato e tornare a riempire di vitalità i suoi primi piccoli, a tratti miseri, certamente non meritevoli di vecchiaia, 30 anni. Dalla finestra aperta entra un fiocco di neve che si poggia sulla punta del naso di Lucia. Gli occhi si incrociano e lo sguardo strabico cattura le forme perfette, ma gelide, dell’acqua solidificata ad opera d’arte.
Caldo e freddo, freddo e caldo.
Lucia è in subbuglio.
Lucia ha deciso: sabato va al canile. 

“Sì, un cane.”
È la terza volta che Lucia ripete il concetto, ma Fabio sembra non capire. Probabilmente sente, ma non ascolta e la differenza tra le due azioni è abissale. Dieci anni di fidanzamento e tre di convivenza hanno portato alla totale estraneità. Consolante.

“Ma come fai con un cane? Richiede tempo, attenzioni, costi.”
Fabio si è riscosso e ha reagito. È già un passo avanti.
“Un modo lo troverò.” Lucia ormai è sicura.
Non del cane che, povera bestia, ha in fondo un’importanza marginale. È sicura di voler apportare un cambiamento, una modifica, un piccolo granello di sabbia per fare inceppare il meccanismo sempre uguale di una vita senza più senso.

Spesso, la mattina, incontra Jeanette.
Jeanette è uno di quei regali del binario unico del trenino. Una di quelle persone incontrate per caso, ma chiaramente esistenti con uno scopo. Lucia la conosce poco, molto poco, ma l’ammira e l’apprezza. Si incrociano sovente lungo la strada che costeggia la ferrovia: punto di arrivo per l’una e punto di partenza per l’altra. Tutte le mattine un saluto con un sorriso e due chiacchiere la cui lunghezza è scandita dalla puntualità del convoglio.

Spesso parole senza apparente importanza. In realtà un balsamo per la frustrazione. Jeanette è serena e, soprattutto, trasmette serenità. Non è quello che dice, ma come lo dice. Non è quello che fa, ma l’ingenua emozione e l’aperta condivisione con cui lo fa.
Una giornata di pioggia diventa un motivo per godere del calore domestico.
Una giornata di sole è lo stimolo per una spensierata passeggiata.
Un viaggio da fare è la voglia di partire, un viaggio già fatto è la gioia del ricordare.
Sorride Jeanette, uno di quei rari sorrisi sinceri e disinteressati. Un viso fine, un’indefinita e indefinibile età di mezzo, una camicetta ariosa e leggera e la certezza di trovare sempre un motivo. È a Jeanette che Lucia deve parlare del cane. Lei saprà come dare a questa decisione la giusta, importante levità. 

“Alla faccia del mio migliore amico” Peli, pulci e bava di un quattro zampe comune 
“Cave canem”. Attenti al cane! E a tutta la famiglia aggiungo io. Appendice d’obbligo al giorno d’oggi quando morde più una figlia adolescente di un dobermann, l’abbaiare acuto e snervantemente ritmico del chiwawa è nulla in confronto ai pianti del treenne vicino di casa e le pulci del bastardino di quartiere sono preferibili alla forfora di Zio Antonio. Croce e delizia, maestà e servitù, gli amici pelosi conoscono oggi un inquietante e statisticamente importante aumento numerico esponenziale. Se non hai un cane non sei nessuno. Se hai un cane sei appena calcolabile. Se vuoi assurgere all’olimpo modaiolo degli ecologisti dell’ultima ora devi averne almeno 3. Possibilmente uno per ogni categoria di dimensione: microscopico, virtuosamente mediano, abnorme. Chi vi scrive distingue nettamente tra cani e finti tali: tutto quello che non supera i 40 cm al garrese non è un cane! Punto, basta, finito. Un cane, per chiamarsi degnamente tale, deve avere la sua presenza. Un barboncino non è un cane. Con buona pace degli affranti proprietari. Ora, fatta la dovuta premessa iniziale, che dividerà i lettori come Mosè divise le acque (già sento folle di acclamanti bassotti-lover contrapposte a orde di amanti della zampa lunga) possiamo addentrarci nei 5 motivi per cui, indipendentemente dalla soggettiva e attaccabile opinione sulle misure, vale la pena aggiungere 4 zampe alle 2 che ci sono state date in dotazione. 

Un cane sporca 
Pelo. Palle di pelo ovunque che rotolano sulla moquette come gli arbusti nel deserto dell’entroterra statunitense. Laghetti di bava che a Plitvička se li sognano. Infestazione di pulci che neanche le locuste delle piaghe d’Egitto. Un cane sporca. È un dato di fatto. E allora? Allora forse vi accorgerete che la vostra splendida casa, ordinata come una vetrina del Temporary Shop di grido, asettica come le corsie di un nosocomio e noiosa come un cup cake senza crema al burro, ha ripreso vita. Vi risveglierete da un sogno di oggetti di design e tendaggi immacolati e vi tufferete in una realtà di amore. Un po’ bavoso, un po’ peloso e molto pruriginoso, ma caldo, vivo e presente. 

Un cane vi trascina fuori di casa senza se e senza ma 
Pioggia, sole, nuvole, vento, tempesta tropicale e gelo siberiano. È giunto il momento di dire “chi se ne frega” e uscire. Non guarderete più le previsioni meteo. Non vi trincererete nuovamente dietro alla scusa del “E ma fa freddo… poi mi ammalo”. Uscirete e basta. Acqua santa e pupu, cacca e pipì, feci e urina non sono soggette alle condizioni meteorologiche e voi vi ritroverete fuori. Passerete vie e sentieri prima sconosciuti. Scoprirete di nuovo che l’uomo, in fondo, è un animale e come tale sa adattarsi. Rivedrete, dopo 10 anni di letto e divano, l’alba. Ne gioverà l’umore, la decennale ciccetta girovita e i rapporti sociali. 

Un cane si può ammalare 
Ebbene sì: anche un cane si può ammalare e siccome l’amico Fritz non è, per sua natura, né ipocondriaco né l’incredibile Hulk, se sta male sta male sul serio. Zampe che si rompono, tumori che insorgono, orecchie che non fanno più il loro dovere. Ma anche occhi che si spengono, lesioni più o meno volontarie e parassitosi incipienti. I quadrupedi ammalati sono una rottura. Il veterinario costa e somministrare una supposta a un San Bernardo non rientrerà nei 10 migliori momenti della vostra vita. Il cane, però, è vostro amico e degli amici ci si prende cura. Curare un animale è terapeutico anche per l’uomo. Improvvisamente vi renderete conto di amare qualcuno e di preoccuparvi per lui. Spariranno, ve lo assicuro, improbabili unghie incarnite, pretenziosi mal di gola e inutili mal di testa. Le priorità del vostro mondo verranno finalmente messe in ordine. 

Un cane non vi lascia in pace 
Avete avuto una brutta giornata e volete solo stravaccarvi sul divano: giusto? No, sbagliato! Arrivate a casa e il trasportatore di pulci reclama la vostra attenzione. Che sia per la passeggiata liberatoria, la corsa a ostacoli con la palla sbavata, la cena da gourmet servita in ciotole da rancio militare, lui ha bisogno di voi. È un rompipalle (mai termine fu più involontariamente azzeccato), ma c’è e siccome non è un peluche non potete abbandonarlo in un angolo. Oddio, potreste anche provarci. Non rispondiamo per tappezzerie strappate, tappeti da scena del delitto, divani sfigurati e vasi della prozia in frantumi. Un cane non vi lascia in pace e questa è la vostra salvezza. Un cane vi obbliga a reagire, a tirar fuori le palle (altro casuale modo di dire) e vi impedisce, fortunatamente, di retrocedere allo stadio larvale. 

Un cane vi dimostra il suo affetto 
Quante volte avreste voluto dire ti voglio bene e non ci siete riusciti? Strati su strati di assurde, ma radicate convenzioni sociali ci impediscono l’esternazione dei sentimenti più veri. Un cane no. Il gatto è utilitaristico e raramente prova affetto disinteressato (ok, ora mi aspetto una bomba sotto la macchina dai PFF – pro felini forever), mentre un cane, per sua natura sociale e gregario, ha bisogno del branco, amando e soffrendo con esso. Tralasciamo che la dimostrazione di affetto e interessamento consiste principalmente in leccate a pieno viso, sferzanti scodinzolate, annusate dove non batte il sole e zampate fangose preferibilmente su vestiti puliti. Dovremmo prendere esempio dalla canina spontaneità. Per amor del cielo: non tuffatevi sull’amico di sempre iniziando a lappargli le fresche gote. Non assalite la nonna traballante con manate sulla gobba schiena. Evitate, per cortesia, di prendere a calci con le scarpe infangate il vostro solenne e solerte superiore. Imparate, però, a dire “ti voglio bene” qualche volta di più. (Gli Argonauti)

Lucia sale. Il vagone è al limite della legale capacità. Stipato all’inverosimile di baldi giovani liceali, impettiti manager ed eleganti segretarie. Dovrebbe farne uno studio una volta tanto. Il trenino è un crogiolo di culture e professioni. Uno spaccato dell’umana, odierna società. Un campione statisticamente attendibile. Lucia si annota mentalmente l’idea e ripensa all’articolo appena letto.

Dio web conosce tutto di noi e da quando ha involontariamente premuto quel fosforescente, e a dirla tutta bruttino, banner qualche giorno prima, continuano ad apparirle gli articoli più disparati. Oggi, però, non è stato un segno del destino. Oggi ha volontariamente cercato qualcosa sui cani. Lucia di cani ne ha avuti molti. O meglio: ne ha condivisi molti. Erano tutti cani di famiglia, amati e coccolati, ma spezzettati tra i vari componenti. Non è interessata a sapere come mangiano, come si curano, che razza scegliere. Sa bene cosa si prova dovendone uccidere uno ed è pure convinta di non avere problemi con l’educazione.

Quello che non sa, quello che cercava è come ci si senta ad avere un cane senza doverlo vivisezionare con altre 6 persone.
Avere un qualcosa di proprio, solo esclusivamente per se stessi è insana avidità o consapevole ricerca di unicità? 

Il cane è arrivato. 

“Le statistiche del trenino” continua sabato 19 settembre 2020 con un nuovo capitolo. Non perdetevelo!

Una lettura di BluttaBlatta
Suoni: Freesound Inchadney, Duckboy80, Astounded, Joncon Library, Cosp Ics13
Musiche incompetech.com: “Teddy Bear Waltz” di Kevin MacLeod

Chi ha scritto questo racconto

BluttaBlatta

"Un marito.
Due gatti.
Tanti libri.
Mille parole.
"
Martina Ravioli