“Ho detto che a scuola non ci vado!”
Sarò anche una mamma attenta alla psicopedagogia, ma vi garantisco che ho una gran voglia di tirare uno sberlone al rampollo urlante. Dopodomani ricomincia la scuola e, come sempre alla fine dell’estate, siamo nel delicato momento di passaggio tra il termine delle vacanze e l’inizio della pena detentiva di 9 mesi. Per me liberazione dall’appiccicoso pargolo, per le maestre lavoro da nervi saldi che neanche un’operazione a cuore aperto e per il trottolino amoroso che cresce troppo in fretta, atroce punizione da scontare per non si sa quale reato.
Che poi, ovviamente, non è così. Passata la prima settimana di assestamento è felice di vedere gli amici piccole pesti; imparare cose nuove – sante subito le insegnanti che sanno accendere l’innata curiosità infantile; e scoprirsi ogni giorno più grande – ma perché non hanno ancora inventato i vestiti innaffiabili? Uno li innaffia con il fertilizzante e crescono pari passo con il proprietario.
I giorni di fine estate mettono sempre in scena una tragedia greca che in confronto l’Odissea è una viaggio di piacere.
Quest’anno le scuse per l’isterica infelicità del pargolo sono: la cartella di un blu troppo blu – non sapevo che l’errata nuances di ciano nuocesse ai bambini come lo scorretto abbinamento tra ombretto e smalto delle dita dei piedi penalizza le modelle; il diario che è più brutto dello scorso anno – deve esserci un degrado qualitativo e grafico nella produzione di agende, perché ogni anno questa scusa salta fuori più forte; fa troppo caldo per chiudersi in aula e uscire dalla piscina – qui gli darei anche ragione, ma potrei trovarmi con un figlio incatenato al rubinetto della vasca da bagno e che minaccia lo sciopero della fame; e ultimo, ma non meno importante, “Non mi hai ancora preso il telefonino modello XYZ” – che poi, detto per inciso, non gli ho preso alcun modello in toto.
Ci manca solo che a otto anni inizi a soffrire di ansia da mancata risposta su WhatsApp, nevrosi per la memoria in esaurimento – quella dello Smartphone si intende – crisi esistenziale per il mancato collegamento a internet e la mania contagiosa di fare foto alla sacra trinità: sempre, ovunque e a chiunque.
“Tesoro, vieni qui che voglio raccontarti una storia.”
Mio figlio mi guarda in cagnesco, indeciso se avventarsi su di me come se fossi una cotoletta da azzannare o se avvicinarsi per farsi fare due coccole tranquillizzanti. Fortunatamente propende per la seconda soluzione perché devo riconoscere che i suoi denti aguzzi, rinchiusi nella gabbia metallica dell’apparecchio, mi incutono un certo non so che.
E così inizio a condividere il mio tempo d’estate, quando al suo posto c’ero io e i dilemmi esistenziali, che vi garantisco erano ben presenti anche allora, si rivelavano sotto altra forma. Gli racconto dello zaino rattoppato e sempre uguale che cambiava tonalità di rosa con il passare degli anni. L’astuccio che si riempiva di matite colorate e la colla che a fine estate era secca e andava comprata nuova. Gli dico perfino che un anno non volevo iniziare la scuola perché vicino all’entrata aveva fatto la tela un ragno grossissimo. A me sembrava una tarantola e mi faceva paura, ma probabilmente non avrà superato il mezzo centimetro e sicuramente non era viola a pallini gialli come mi ostinavo a voler far credere a tutti.
Il brontolone mi guarda. Gli occhi vorrebbero mascherare l’interesse, ma la domanda sfugge dalle labbra: “E allora cosa hai fatto?”
Vorrei dirgli che ho urlato come una pazza e che mamma mi ha inseguito con il battipanni, ma mi limito a dirgli che, dopo un civile confronto genitori-prole, ho capito l’importanza della scuola e sono andata a preparare i quaderni per il giorno dopo.
Mentre le mie parole sembrano averlo convinto, entra mia mamma.
“Ciao nonna! La mamma mi ha raccontato del ragno viola!”
“Ah sì? E ti ha detto che per convincerla ad andare a scuola ho dovuto usare il battipanni?”
Ed ecco, sul finire dell’estate, tutta la mia psicologia infantile che se ne va, felicemente distrutta dai metodi della tradizione.
Racconto apparso sull’edizione del Corriere del Ticino di sabato 24 agosto 2019.
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