Il viaggio è la meta

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Il viaggio è la meta

Un rivolo di sudore accompagna la lieve vertigine di Giuseppe: sul bordo del precipizio è diviso tra la voglia di spiccare il volo e la paura di cadere. 

È arrivato all’Alpe il giorno prima e la notte nel rifugio è passata tra ansia ed eccitazione. All’inizio del viaggio non aveva idea di dove sarebbe andato a finire. Era partito così, senza una meta, con la sola voglia di mettere un piede davanti all’altro e compiere il suo cammino. Ed ora, dopo innumerevoli passi sulla terra, è a un passo dal volare tra le nuvole.

È partito dalla città in una bella mattinata primaverile. Una di quelle mattine terse e sempre più rare che sono ormai un dono del cielo. Ha deciso di prendersi una pausa dalla vita, da una moglie amorevole, ma forse fin troppo presente; da un figlio nel pieno vortice adolescenziale; da due anziani genitori che non può sopportare e supportare come vorrebbe e come imporrebbe il ruolo di primogenito.

“Ma dove pensi di andare?”
Flavia guarda il marito con un misto di rabbia e incredulità. Giuseppe fatica a sostenere il suo sguardo. “Flavia, ti prego, non mi giudicare. Non vi sto abbandonando, ho solo bisogno di prendere le distanze da tutto e da tutti per qualche settimana.”. A questo primo confronto erano seguite spiegazioni, minacce, crisi, ma poi il desiderio di Giuseppe era stato digerito. Malamente, ma digerito. E così si è arrivati al giorno della partenza.

Lo zaino pesante disegna, con il passare dei giorni, i muscoli della schiena. I piedi hanno trovato il loro giusto spazio nei vecchi scarponi un po’ scrostati sulla punta. Il cervello pian piano si svuota e l’anima si riempie di albe fresche e luminose, di tramonti sfocati e sospesi, di profumi, di suoni, di sensazioni; in definitiva l’anima si riempie, finalmente, di vita. Giuseppe, libero dalla quotidianità, può mettersi comodo e godersi l’avventura.

Oddio, mettersi comodo forse è un’esagerazione. Le spalle sono segnate dalle cinghie e l’alluce valgo protesta per il duro trattamento a suon di stilettate lancinanti. La tenda da campeggio è stata presto abbandonata per ripiegare sul solo sacco a pelo. Non che Giuseppe non ci abbia provato, ma evidentemente il montaggio della suddetta non rientra tra le capacità da scrivere nel suo curriculum vitae. La buona volontà ce l’ha messa tutta Giuseppe, ma durante innumerevoli tentativi si ritrovava sempre con troppi pochi pezzi o pezzi di troppo.

Gli incontri sono casuali lungo la trama del percorso. Camionisti burberi, ma inaspettatamente coltissimi, lo caricano lungo la strada. Con loro il viaggio si dipana tra riflessioni filosofiche e battute sconce. Gruppi di scout lo superano spesso e volentieri lungo il cammino, rivolgendogli sonore pernacchie e sorrisi di maliziosa superiorità. Una sera, già a ridosso dei primi rilievi, si imbatte in una donna che, apparentemente sola, scruta il sottobosco e le radici.

“I funghi sono come le persone: si nascondono. Solo se hai la pazienza di aspettarli sbucano fuori come a volerti raccontare tutta la loro breve esistenza.”
Giuseppe osserva la bocca che ha pronunciato quelle parole. Una bocca seria, ma a suo modo sensuale, sormontata da un naso  importante e da due occhi vivaci di un caldo color nocciola. Lo sguardo scende lungo le spalle, coperte da una leggera stoffa a fiori e poi giù, fino al ventre, alle cosce e alle gambe ben tornite. I pensieri si rincorrono e un desiderio di vita fulmineo e tanto più sorprendente abbraccia Giuseppe. Desidera ancora amare, amare fisicamente si intende, ma qualcosa lo blocca, anche se non riesce a dare un nome a questa inaspettata incapacità.
Dal sottobosco spunta un maremmano. Il pelo candido nascosto da foglie e rametti.

“Artù, Artù! Vieni qui!”
La donna, protetta dal suo re, si allontana e sparisce dietro alla svolta del sentiero. L’incontro è stato talmente irreale che Giuseppe sospetta di averlo solo immaginato.

Gli incontri passano e con loro i giorni. Le montagne ora sono sotto i piedi e dentro le vene del collo che pulsano per la salita. Il miraggio lontano, che vedeva nei primi giorni di cammino, è ora diventato reale. Il viaggio si è trasformato in meta.

Da lontano appare il rifugio sull’Alpe. Un guardiano, secco e aspro come le rocce circostanti, lo accoglie con un largo sorriso che cozza con il volto spigoloso e i modi spicci.

Il sacco a pelo riposa srotolato sull’ultima brandina disponibile del rifugio. Giuseppe siede alla lunga tavolata imbandita con colori vivaci e scompagnati e piatti che sprigionano, in un vapore denso e aromatico, la loro genuina sostanzialità. Da tempo il rifugio non vedeva così tanta vita. Tutto merito della manifestazione del giorno dopo, quando istruttori e neofiti scivoleranno abbracciati lungo la rampa di lancio. Il loro viaggio sostenuto solo da un lenzuolo di stoffa chiamato parapendio. La loro meta: la terra.

Giuseppe ascolta incuriosito e si lascia tentare. Quale fine migliore al cammino delle ultime settimane? Decollare, spiccare il volo, vibrare sospeso nell’aria per poi tornare alla vera meta: la sua casa e la sua famiglia ritrovata.

E così ora è qui: sul bordo del precipizio…

Flavia lo sveglia. Ha già aperto le persiane e la luce nebulosa dipinge la trama delle tende sulla parete di fronte. La carrozzina automatica si avvicina al bordo del letto. È ora di alzarsi. Il sollevatore viene calato dall’alto: Flavia, da sola, non ha la forza.

Giuseppe vorrebbe nascondere una lacrima, ma non può. Il solo movimento della testa, unica fuga alla prigione di un corpo immobile, non basta a cancellare il sentiero lucido lungo la guancia.

Giuseppe ama la notte e il sonno. È l’unico momento in cui può viaggiare libero. Di giorno, nella vita reale in cui si trova ingabbiato, non ha mai fatto un viaggio così. Non ha mai lasciato la famiglia per partire senza una meta.  Il massimo che si è concesso sono state le vacanze estive in Riviera con la moglie e il figlio ancora piccolo. E poi qualche fine settimana dai nonni, nulla più. No, decisamente non ha mai fatto un viaggio così, e ora è tardi.

È tardi da quel maledetto giorno, dall’incidente che ha interrotto il viaggio degli stimoli nervosi lungo il suo corpo, dal momento in cui la sua vita si è fermata. Una macchina, un semaforo rosso non rispettato, la stupidità della fretta, seguita da una calma glaciale ed eterna. 

Gli spiace essere stato svegliato proprio sul bordo del precipizio: avrebbe voluto provare la sensazione di volare.

“Buongiorno amore mio.”
Flavia finge di non accorgersi degli occhi ancora umidi, mentre con una mano gli scosta i capelli dalla fronte sudata: l’afa di agosto si fa sentire.

Giuseppe si osserva allo specchio, ogni ruga un racconto.
Deve resistere. 
Deve raggiungere nuovamente la nera notte: un foglio bianco su cui proiettare sogni e desideri.
Deve arrivare a sera, sperando di afferrare di nuovo quegli scampoli di vita.
Sperando di tornare ad una tersa giornata primaverile sull’orlo del precipizio.

Sperando di continuare il viaggio…

Racconto finalista e selezionato per la pubblicazione sull’antologia “In viaggio con noi” del premio “Fuori dal cassetto 2018“ indetto dall’Associazione Testi&Testi.
Se i racconti di viaggio vi appassionano, provate a leggere “Il ritorno“.

Una lettura di BluttaBlatta
Suoni: Freesound Jorickhoofd, Juan Merie Venter, Pepotx
Musiche incompetech.com: “Send for the Horses” di Kevin MacLeod

Chi ha scritto questo racconto

BluttaBlatta

"Un marito.
Due gatti.
Tanti libri.
Mille parole.
"
Martina Ravioli