Ecco l’undicesimo capitolo de “Le statistiche del trenino“.
Se vi siete persi il decimo capitolo lo trovate qui.
BluttaBlatta vi augura buona lettura.
Novembre
“Ma perché diavolo di un diavolaccio tuo padre è così?”
La Tedesca mostra preoccupanti istinti omicidi. Tipico.
Il Fabbro può conficcarsi un falcetto nella mano e continuare a lavorare.
Può spaccarsi un polso e guarire in una settimana.
Può riempirsi gli occhi di schegge di ferro e andare avanti come se nulla fosse.
“Ma il mal di gola no! Il mal di gola è una tragedia!”
La Tedesca è infervorata. Non ha tutti i torti. È pur vero che il Fabbro con il mal di gola diventa una piattola, ma Lucia ha ben altro per la testa.
È iniziato il taglio delle piante e trattori colmi di legna fanno su e giù dall’altopiano. Bubu ha rischiato di venir schiacciato almeno 4 volte, finché Gino si è deciso a chiuderlo nella stalla insieme a Nerina e alle altre. Napo, invece, sta a distanza di sicurezza e la ciurma di gatti osserva sdegnata lo scompiglio generale. Solo Marc Antonio ha da dire la sua. Ad ogni pianta che cade parte un miagolio acuto e prolungato. Una sorta di orazione funebre in versione felina.
Per almeno due settimane, fino al termine dei lavori, Lucia non vuole vedere bambini sull’altopiano. Lisetta ha il compito di tenerli alla larga. Non sarà impresa facile. Il progetto dei turbín ha preso piede e almeno una volta alla settimana ogni scolaro sale a prendersi cura del proprio. Quasi tutti sono stati puliti da decenni di incuria e naturale sopraffazione. Gran parte dei genitori, dopo gli sbuffi iniziali, segue il progetto con piacere. Chi è del luogo ritrova l’infanzia e il legame con il paese che credeva di aver perso. Chi viene da fuori riesce, grazie a terra, sassi e polvere, ad integrarsi meglio in una realtà oggettivamente antica, ma soggettivamente nuova e tutta da scoprire.
Solo una famiglia non ha voluto partecipare. Non hanno tempo né interesse per rimboccarsi le maniche e investire nella comunità. Lisetta l’ha presa come una sconfitta, ma non si è ancora dichiarata vinta. Tornerà alla carica quanto prima. In ogni caso per due settimane Lucia ha imposto lo stop. Due settimane per trovare un’efficace strategia di convincimento. Lisetta osserva i suoi pulcini. Tra pochi mesi voleranno via dal suo nido per affrontare un’altra scuola e altri insegnanti. Inizieranno ad affacciarsi alla vita in un ambiente che non sarà protetto. La maestra spera, in cuor suo, di riuscire a dar loro ali abbastanza forti per volare.
Tre giorni prima hanno iniziato ad arrivare le motoseghe. Lucia ha diretto uomini e mezzi con piglio da caporal maggiore. Il Pippo dello stagno la osserva sempre a distanza. Lucio, invece, la osserva da vicino. Donna fiera Lucia, non c’è che dire. L’occhio lucido e il magone, però, sono difficili da nascondere e così, a quella vecchia volpe, viene un’idea.
Pantaloni da lavoro, guanti laceri e una paura matta. Lucio si è intestardito a voler insegnare al suo comandante come guidare un trattore.
“Non ci penso proprio!”
Lucia è dura come un mulo, ma Lucio è peggio e così mezz’ora dopo iniziano le lezioni. Il trattore urla come un animale morente e non si muove di un millimetro. “Lucia, santa polenta, ci vuole il tocco leggero! Va bene che hai due gondole e non due piedini da fata, ma per favore vedi di accarezzare sti pedali e non di prenderli a calci!”
Mezza giornata dopo non si contano più le Madonne tirate giù dal cielo e le preghiere mormorate a mezza voce.
Hanno rischiato di ribaltarsi nel ruscello almeno due volte. Tre volte, invece, sono andati a sbattere contro qualcosa e sei volte hanno fatto scappare a gambe levate qualcuno che si trovava nel posto giusto al momento sbagliato. Il clou è stato quando Lucia ha inserito la retro al posto della prima e si sono ritrovati ad un millimetro dal precipizio. Lucio è diventato bianco come un lenzuolo e ha tirato una frenata che metà bastava. Il piede di Lucia, schiacciato tra lo scarpone del suo insegnante e il pedale del freno ha urlato vendetta. Ora il pollicione, che tecnicamente sarebbe un alluce, è gonfio e dolorante, ma Lucia sa guidare un trattore.
Ora non ha più scuse, fa la spola, come anche Franco e Lucio, su e giù per la montagna. Il Fabbro, Gino, Fabio e per l’occasione anche il Panettiere e il Pittore sono addetti al taglio. Lucia, Franco e Lucio trasportano tronchi, rami, sterpaglie e ceppi fino alla loro destinazione. La Tedesca, la Gattara e, per l’occasione, anche Ana smistano e ammucchiano. Ognuno il proprio ruolo. Ogni ingranaggio ruota e gira. Le braccia fanno male, la legna si accumula e la testa non pensa. L’impegno è forse l’antidoto al male?
La nera e nuda terra dell’altopiano è ricoperta di brina che brilla alla luce di una luna albeggiante. Lucia è salita a notte fonda dal paese. Cerca la solitudine, quella solitudine buona e ovattata che ti permette di pensare. La nebbia della valle ha lasciato il posto alle stelle della montagna. Fa uno strano effetto innalzarsi al punto da vedere le nuvole dall’alto. Ai piedi di Lucia si staglia, apparentemente sconfinato, un mare di nubi argentate e soffici, un ribaltamento delle sensazioni e una conferma che tutto è apparenza. Sotto è grigio e buio, sopra è chiaro e soffice. Le goccioline di acqua sospese, non hanno colpa. Semplicemente sono. È il nostro cambio di prospettiva a farci vedere la stessa cosa sotto due luci differenti.
Lucia avanza silenziosa fino ai margini del futuro pascolo. L’estensione è notevole e con i primi tepori primaverili pianteranno l’erba che sarà nutrimento per nuova vita. In fondo il ciclo vitale è poi uguale per tutti gli esseri viventi. Gli umani, sacchetti ambulanti di feci, urina e succhi gastrici, non sono da meno. L’unica salvezza sono i sentimenti: felicità, gioia, paura, euforia, amore, tristezza. Lucia si siede sul vecchio faggio contorto che da sempre le fa da poltrona e da sgabello. Le sembra quasi di sentire un lieve russare provenire dal bosco. Che idea stupida! La notte è vita, non certo riposo per le creature selvatiche, ma l’immagine di un bosco placidamente addormentato la fa stare bene. Le piacerebbe condividere la medesima tranquillità, purché sia fondata e non apparente. Osservare questa terra scura le piace. È un qualcosa che ha costruito. Un qualcosa che sta prendendo forma. Un desiderio uscito allo scoperto.
Cosa strana i desideri. Ce ne sono di effimeri e di profondi. Alcuni durano una frazione di secondo, altri ci accompagnano tutta la vita. Non necessariamente i secondi sono più importanti dei primi, ma di sicuro sono più insistenti. Lucia ha tanti desideri, ma pochi sogni. Dovesse farne una lista, verrebbe fuori una parte di anima.
Si appoggia al tronco umido e freddo e socchiude gli occhi. In questo momento è sola, anche i Pippi non si sono ancora fatti vedere. Neppure Nando e Maria la guardano dall’alto e i suoi soldati dormono ancora sotto le coperte. Chi abbracciato alla Gattara e chi a cercare di cancellare l’ubriacatura della sera prima. Qualcuno strappa con le unghie e con i denti gli ultimi istanti di pace prima che la sveglia urli il suo richiamo e qualcun altro gratta una crosta aspettando l’alba per alzarsi. Il panettiere sta infornando le ultime michette. Le galline sognano montagne di uova e la ciurma di gatti un mondo senza cani. Napo e Bubu aspettano lo stimolo della prima pisciatina che segnerà l’inizio della loro canina giornata. Milioni di persone si preparano per andare a lavorare desiderando di poter rimanere a casa e milioni di disperati si svegliano sapendo che, anche per oggi, non ci sarà lavoro per loro.
Da qualche parte in un letto Ana si gira e rigira. Ha tempo per tutti e tempo per nessuno. Spezzettare l’attenzione su mille fronti non permette il focalizzarsi su niente. Tra pochi minuti inizierà anche la sua battaglia quotidiana tra sguardi presi e sguardi mancati, nevrosi incipiente, felicità di breve durata, telefonate e messaggi che rubano tempo a tutto il resto e una gran voglia di stare bene senza però sapere come fare. Il lavoro sarà, forse, l’ultimo dei suoi problemi.
Lisetta si alza carica e eccitata. Ha in mente una nuova strategia per convincere la famiglia recalcitrante. Oggi, poi, porta i suoi pulcini a teatro e l’emozione le fa fremere i primi baffetti bianchi che le spuntano sul labbro superiore. In questa umanità in risveglio Lucia chiude gli occhi. A palpebre abbassate si concede il lusso di esplorare la propria mente. Ha paura di quanto troverà, ma ogni tanto le fobie vanno affrontate.
Paura di morire, di sicuro. Tutti quelli che dicono che non hanno paura della morte sparano cazzate. La morte fa paura, ammetterlo o no è un altro discorso. Lucia non fa eccezione alla regola. Ha paura di morire e di soffrire. Ha paura di perdere i suoi cari, ma non per pura generosità, quanto piuttosto per egoismo. Ha paura di essere sola, o meglio, ha paura che la perenne sensazione di solitudine sia fondata. Ha paura di impazzire e di non riuscire a risalire il pozzo nero. Ha paura di svegliarsi e non avere la forza di affrontare lo tsunami incombente. Ha paura di rimanere sempre uguale a sé stessa e di non arrivare da nessuna parte. Ha paura di farsi scivolare addosso la vita senza viverla davvero. Ha paura di essere intrappolata in un eterno aspettare: aspettare tempi migliori, un amore più grande, un lavoro più soddisfacente, una felicità che fugge. Prima o poi capirà che la felicità bisogna andare a prendersela.
Accanto ci sono le paure minori e un po’ ridicole. La paura dei ragni, la paura dei fantasmi, la paura di ingrassare fino a raggiungere le dimensioni di un tendone da circo, la paura di risultare repellente, la paura di essere invisibile, la paura dell’affetto e della fisicità e l’annosa paura di trovare un morto nel bosco. Ha sempre sostenuto che se le dovesse capitare, di morti ce ne sarebbero stati due. Morte e sesso. Due argomenti affascinanti e diametralmente opposti. La celebrazione estrema della vita che lotta contro l’unica cosa che ne sancisce l’esistenza. La vita senza morte non sarebbe tale.
Accanto alle paure, più o meno serie, più o meno profonde e più o meno paralizzanti ci sono i desideri. Lucia vorrebbe correre a perdifiato in un campo di grano pronto per la mietitura. Avanzare sulla stessa lunghezza d’onda del vento sentendo l’aria tra i capelli. Le punte delle dita che accarezzano le spighe gonfie e mature. L’oro della vegetazione che si fonde con il luccichio di occhi ridenti. Desidera realizzare qualcosa nella vita, il problema è sapere che cosa. Anela a prendere in mano il proprio destino, ma senza riuscirvi. Vorrebbe, per una volta, avere una bellezza mozzafiato. Essere una donna sicura e avvenente, non l’eterna ragazzina. Conoscere la pratica e non solo la teoria. Leggere De Sade e limitarsi a Platone è quantomeno incoerente. Ribrezzo per i baci, fastidio per le carezze eppure l’immancabile desiderio di viverli. Paura di essere infastidita o di infastidire?
Vorrebbe conoscere il più possibile, lasciar cadere le inutili zavorre. Vorrebbe saper cantare e dipingere. Vorrebbe avere un buon orecchio e due mani d’oro in cucina.
Vorrebbe, vorrebbe, vorrebbe…
I pensieri si accavallano e Lucia ne perde il filo.
Il sole sorge su di un altopiano gelato e su di una Lucia frustrata e, probabilmente, frustrante. I suoi uomini stanno emergendo dalla nebbia ai confini del visibile. Lucia sorride. In fondo il viaggio iniziato in primavera non è stato del tutto inutile. Ha creato una squadra, ha guarito delle anime ferite, ha portato inconsapevolmente il peso di un Nando che non era solo ciò che appariva. Ha ritrovato, almeno nei pensieri, una nonna che non ha mai compreso. Ha ridato vita a un posto abbandonato da tutti e forse anche da Dio.
Sorride Lucia. Ci è riuscita, ce l’ha fatta.
L’allenamento prosegue e ora della prossima estate sarà pronta per il suo viaggio a piedi. Le cascine sono ormai delle case e una nuova generazione di amanti del bosco sta crescendo con i turbìn. E allora l’infelicità da dove nasce? Forse dal riuscire a dare tutto agli altri e niente a sé stessa? Risposta intellettualoide, ma verosimile. Nella mente le balena l’idea di rivolgersi ad uno psicologo. Ad un aiuto per capire cosa nella sua testa si sia rotto e non riesca ad essere riparato. Forse è una sconfitta, forse è la soluzione.
Dai margini del bosco Lucio corre come se avesse il diavolo alle calcagna.
“Lucia! Luciaaaa!!!! È arrivata: la licenza per l’Osteria è arrivata!”
La Gattara lo insegue di gran carriera. Per la fretta Lucio è riuscito anche a dimenticarsi di mettere la giacca e lei, premurosa, teme un’infreddatura. Lucia, cinica, osserva tra sé che la cosa è alquanto improbabile. Lo scarno petto di Lucio è coperto da una camicia di flanella a righe, sopra ad una canottiera di lana e sotto ad un gilet a scacchi. La faccia è rossa come un peperone e il fiato corto per la corsa e l’eccitazione. Più che un infreddatura qui si rischia un colpo di calore.
Lucio è al settimo cielo e i compari si accalcano attorno per festeggiare. Lucia osserva il suo squadrone di fanteria pesante. Pesante nei chili e nei modi, ma in fondo dal cuore tenero. Lucio, il Fabbro, il Panettiere, il Pittore, Gino, la Gattara, la Tedesca, Franco, Fabio. Tutti stretti a festeggiare. Lucia, poco distante, li guarda. Sono i suoi soldati, ma non ne fa parte.
“Allora comandante: a quando l’inaugurazione?”
Fabio guarda Lucia e sorride. Due caldi occhi color nocciola che la invitano ad essere parte di un tutto. D’improvviso due mani forti la sollevano per aria. Il Fabbro, Lucio e Gino fanno da rete con le braccia e la lanciano verso il cielo al grido di: “Per Lucia: hip hip urrà! Hip hip urrà! Hip Hip urrà!” Quando frastornata e incredula scende dall’ottovolante umano, Lucia li guarda. Guarda altri esseri umani come lei. Guarda chi ha accolto e chi, a sua volta, l’ha accolta e di lei si è fidato. Osserva uno per uno quegli uomini e quelle donne che non può e non vuole deludere. Guarda nei loro occhi il suo riflesso tremante: “Tutti al lavoro ragazzi. A Natale si inaugura!”
Janette sorride rapida oggi. Un sorriso caldo e sincero e un “Buongiorno” che è come un balsamo per Lucia.
Questa mattina sul convoglio surriscaldato sono comparsi 15 berretti di lana, 4 cappellini da basket, 26 paraorecchie, 85 teste nude, 33 cappucci calati sugli occhi e un berretto elfico. In totale 164 uomini e donne che sfidano il freddo e il sonno. Manco a dirlo il berretto elfico è di Lucia. A volte le piace essere un po’ sopra le righe e osservare le reazioni delle persone. La cuffia è una cuffia di lana comprata in una tappa della crociera. Si allunga fin quasi alle ginocchia e termina con un morbido pon pon che sembra una coda di coniglio. I colori sono accesi e vivaci e brillano nel buio dell’alba. Difficile che Ana noti qualcosa. Forse non per volontà, ma perché l’importanza per uno è la noncuranza per qualcun altro.
Ultimamente Lucia la vede assente e, indubbiamente, ne capisce il motivo. Cammina rapida per scacciare il gelo e le dita intorpidite fanno quasi fatica ad aprire la porta dell’edificio. Si infila svelta in ascensore e pensa al muffin che sbaferà come colazione tra pochi istanti. Questa sera, all’uscita dal lavoro, l’aspetta il primo appuntamento con la psicologa. Gliel’ha consigliata proprio Ana, anche se è lei la prima a non farne uso. Strana la vita, si è bravi a predicare, ma cattivi a razzolare e questo vale per tutti. Apre la porta del loro bugigattolo e l’accoglie l’accecante luce dei neon. Strano, solitamente a quest’ora è sempre tutto buio e silenzioso. Ana arriva più tardi. Non oggi però. Oggi è già in ufficio. In piedi dietro alla sua scrivania sembra quasi aspettare Lucia. Tutte le sue cose sono raccolte in due scarne scatole di cartone e non c’è bisogno di parlare.
Ana se ne va. Ha dato le dimissioni un mese prima e Lucia non sa se essere più ferita dall’abbandono odierno o dal fatto di non esserne stata informata al momento della presa di decisione. Brevi frasi di spiegazione, un saluto quasi forzato e poi la porta si chiude dietro alla collega di una vita. Seduta alla scrivania Lucia piange di rabbia e di stizza. Seduta in macchina Ana piange di tristezza e delusione.
Non doveva finire.
Non così.
Ancora scossa per la giornata Lucia entra nella sala d’aspetto della psicologa. Ordina i pensieri per poterli esporre meglio. Avrebbe pagine e pagine da scrivere e orecchie da riempire con mille discorsi. L’addio di Ana le brucia dentro. La libertà di ognuno, però, è sacra e non va condannata. Le mani, nervose, sfogliano la brochure dell’ambulatorio e gli occhi si soffermano sulla pubblicità di un centro di recupero per tossicodipendenti e alcolizzati. Il cuore perde un battito. Tutto torna ora!
La lettera di Nando e la sua storia, la sofferenza di una Marì tanto forte quanto stupida, la salvezza del suo plotone tirato via da una vita inutile affogata nelle birre di un bar troppo vecchio per essere bello, il desiderio di creare qualcosa tipico di Ana, il malessere di Lucia. Tutto torna ora!
Lucia afferra la brochure e rapida scappa dalla sala d’aspetto. Non ha senso aspettare nulla qui. La soluzione già c’è e ce l’ha sempre avuta sotto gli occhi. Serviva toccare il fondo per scoprirla, ora non può far altro che risalire.
Torna a casa e veloce scrive la sua lettera di dimissioni. Tra ore arretrate e ferie da recuperare entro due settimane sarà una donna libera. Se tutto va come deve andare, e Lucia ora è sicura che sarà così, entro un paio di anni l’altopiano diventerà produttivo al cento per cento e darà lavoro e sostentamento economico a tutti, l’Osteria inizierà già a Natale e per il resto ci si arrangerà.
È arrivata l’ora.
L’ora di dare un calcio al passato e di scrivere il futuro. L’ora di rendere la Cascina Marì un posto di guarigione per tutti perché “da soli è bello, ma insieme lo è molto di più!”.
Ana ha risposto controvoglia alla telefonata di Lucia della sera prima. Non voleva sentire nessuno e il programma per la serata era di crogiolarsi nel suo malessere. La telefonata di Lucia l’ha distolta dai suoi pensieri: “Ana, per i prossimi anni hai già preso impegni?”
E così ora è qui, in un bar talmente affollato da risultare soffocante, ad ascoltare una Lucia tanto infervorata da risultare contagiosa. È qui ad ascoltare una storia e mille storie assieme. La storia di Lucia, quella di Nando, quella dell’altopiano. La storia di Pio e di come dal male possa nascere qualcosa di bello. La storia di scatole e scatole di materiale pronto per l’inaugurazione ufficiale dell’altopiano che, se tutto va bene, sarà fatta in contemporanea con l’arrivo delle 100 mucche. Ascolta scampoli di passato e grandi progetti per il futuro. Ascolta le basi dell’idea di Lucia: l’altopiano come posto di recupero di sé stessi. L’altopiano come scuola dove imparare a prendersi cura di qualcosa e di qualcuno. La Cascina Marì come concreta idea di opportunità per quanti stanno uscendo da alcool, droga, depressione e per quanti, semplicemente, non trovano più uno scopo nella vita. La storia è scritta. Ora sta solo a lei decidere se farne parte o se costruirsi una storia parallela e, forse, solitaria.
Lucia la guarda, la speranza nei suoi occhi è palpabile, ma parzialmente ottenebrata dal risentimento per l’abbandono del giorno precedente. Ribadisce a sé stessa che non vuole e non può giudicarla, ma i tradimenti fanno male e se anche perdonati lasciano il segno. L’idea di proporre ad Ana di avere un ruolo nell’epopea della Cascina Marì è un modo per ricucire uno strappo che porterà sempre un rammendo. A volte, però, le cicatrici rendono più interessante un volto e Lucia spera ardentemente che sia uno di quei casi. È da due ore che le ex colleghe stanno sedute in quel bar. Man mano la gente è defluita e ora solo un altro tavolino è occupato. Una arzilla coppia di vecchietti che sorseggia un cappuccino a metà pomeriggio. Ana li guarda e poi riporta lo sguardo sulla sua interlocutrice.
“Quando si comincia?”
Lucia sorride.
Ana ha detto sì.
Ana ha smesso di essere una collega e, forse, diventerà un’amica.
Lucia sale sul trenino. L’idea che tra pochi giorni questa routine di pubblico trasporto non farà più parte della sua vita la fa riflettere a fondo. In parte non se ne rende ancora bene conto. Abbandonare il grigiore di una vita impiegatizia dà un certo sollievo, ma vuol anche dire lasciare un porto sicuro e avventurarsi nell’ignoto. Al malessere ci si abitua. A volte anche troppo in fretta e ogni cambiamento porta, per sua natura intrinseca, timore. Le dispiacerà non avere più il suo umano campionario di pendolari da osservare. Nessuno le vieterà di fare ogni tanto un giro sul convoglio arancione, ma sa bene che non sarà la stessa cosa.
Oggi si sente nell’aria già il Natale. Le temperature si sono abbassate bruscamente e iniziano a comparire i primi inequivocabili segni natalizi. Lucia osserva decine di piedi veloci salire sul vagone. Si diverte ad immaginare i loro pensieri e le loro emozioni. Molte persone tristi, tante spaventate, poche serene. Lucia sospira, potendo rivolgerebbe una parola gentile alle anime che più le paiono disperate. Potendo le inviterebbe all’altopiano. Volendo, un giorno, lo farà. Per intanto sprofonda nella lettura, sperando che le argute battute e le scontate, ma sempre attuali, affermazioni, bastino a regalarle cinque minuti di spensierata levità.
“Santa Claus is coming to Town” – Cinque segni inequivocabili per capire che Natale è alle porte
Non c’è periodo dell’anno così carico di significato come Natale. Non c’è momento più sentito, più dovuto e più costoso. Non c’è data che ti faccia sentire più in dovere: dovere di fare regali, dovere di essere più buoni, dovere di perdonare, dovere di amare, dovere… dovere… dovere. Che due palle! Non so voi, ma noi stiamo diventando allergici al Natale. Già i primi giorni d’Avvento inizia l’orticaria e verso metà dicembre si aggiungono le crisi asmatiche. Ora della vigilia siamo in pieno shock anafilattico e ogni 24 dicembre rischiamo di lasciare le penne sull’altare del finto e doveroso buonismo in salsa cristiana. Fortunatamente, l’esperienza rende accorti e abbiamo trovato cinque segni infallibili che preannunciano con largo anticipo l’arrivo delle festività. Un tempo l’atmosfera da abete addobbato e pacchetti incartati la respiravi tassativamente dall’8 dicembre in poi. Oggi inizi a sentire i primi formicoli già ad agosto. Noi ci proviamo a mettervi in guardia. Se cogliete uno o due segni state all’erta. Se i segnali arrivano a tre o quattro preparate le valige. Se, malauguratamente, li cogliete tutti e cinque non fatevi scrupoli: scappate a gambe levate nel lembo più estremo del mondo conosciuto. Possibilmente in una regione a maggioranza induista e stateci almeno fino al 7 gennaio. Se tutto va bene, al vostro ritorno, troverete solo i resti di una festa che, ormai, è diventata l’emblema del consumismo moderno.
Pubblicità di profumi e cioccolatini
Più si avvicina dicembre e più le pubblicità diventano monotematiche. Qualche panettone, qualche pandoro, alcuni giocattoli e … arrivano loro: profumi e cioccolatini. Da inizi ottobre si moltiplicano come gli agenti patogeni nei pazienti in quarantena. Il giorno prima nessuno sentiva il bisogno di cospargersi di lozioni divorando tonnellate di dolcetti, il giorno dopo siamo tutti puzzoni che necessitano profumi di ogni genere e, a quanto pare, siamo anche tutti in crisi d’astinenza e dobbiamo consolarci a suon di praliné e di goduriosi trouffe ripieni. Che poi le riflessioni si sprecano. A parte che siamo ben consapevoli dell’esistenza di questi prodotti e, apparentemente, non dovrebbe servire una pubblicità a ricordarceli. Ma poi non si capisce come faccia un profumo a renderti bello, figo, maschio e a far cadere tutte le donne ai tuoi piedi a meno che le donne non siano zanzare e tu ti sia fatto la doccia nel raid. Non si comprende come la modella taglia 38 divori container di palline ripiene di crema al burro e mantenga il girovita del diametro di un collo di struzzo. Ma soprattutto non ci capacitiamo del perché, nonostante dovremmo essere vaccinati, alla prima pubblicità ci ritroviamo tutti in profumeria a scegliere tra improbabili “Eau d’amour” e “Parfum de passion”, con la bocca ancora sporca dell’ultimo gianduiotto.
Babbo Natali impiccati ai balconi
Con l’autunno le giornate si accorciano e il buio cresce. Il caldo sparisce e il freddo avanza. La visibilità diminuisce e la nebbia sale. Scenari da film horror, ombre inquietanti dietro ad ogni angolo, spifferi di aria gelida. Poi, in lontananza, appaiono le prime case illuminate. Neanche il tempo di tirare un sospiro di sollievo che il cuore si ferma nel petto e un urlo muore in gola. Qualcuno si è impiccato alla ringhiera del balcone. Ci avviciniamo e notiamo che ogni casa ha un suicida. O siamo finiti sul set dell’ultima fatica di Dario Argento, o c’è qualcosa che non torna. E in effetti qualcosa qui non torna: lo spirito natalizio che, oramai, ci ha abbandonato da tempo. Fioriscono, con i primi giorni di novembre, miriadi di Babbo Natali che si arrampicano come furtivi ladri su improbabili scalette arpionate alle nostre ringhiere e che sembrano, appunto, dei suicidi impiccati. Dalle vetrine dei negozi salutano elfi in costume da bagno e plasticosi alberelli natalizi che mostrano le palle al vento. Cerini elettrici e sexy biancheria intima rosso fuoco renderanno le vostre festività hot come non mai. Finti ghiaccioli in resina penderanno, tristi e solitari, da cornicioni che hanno visto tempi migliori. Renne cornute con la fotocellula integrata muoveranno la testa ogni volta che passerete loro davanti. Abeti con occhi e bocca canteranno a squarciagola orridi e stonati stornelli strappalacrime. In questo tripudio di kitsch, trash e brütt, noi vorremmo spegnere suoni striduli e luci colorate da discoteca e accendere una candela vera per rischiarare la notte dell’umanità.
Canzoni natalizie
Rodolfo è una renna che ha il naso rosso fendinebbia (Rudolph the red nosed reindeer). Babbo Natale, a quanto pare, è arrivato in città (Santa Claus is coming to Town). La nascita di Gesù bambino – è già! In caso vi siate dimenticati il Natale sarebbe proprio questo – è stata annunciata anche alle Hawaii (Mele Kalikimaka). Una femme fatale cerca di intortare un ingenuo signore vestito di rosso (Santa Baby). Si distribuiscono cuori a tutto spiano e ora li si chiede indietro (Last Christmas). Le slitte tintinnano (?!) e scendono a rotta di collo dalle colline (Jingle Bells). Il Signore scende dalle stelle senza pattini a rotelle (Tu scendi dalle stelle). I fedeli giungono come pecorelle smarrite (Adeste Fideles). Nessun altro evento ha creato così tante canzoni come il Natale. Ognuno ha le sue preferite e queste fanno, indiscutibilmente, atmosfera. Vi chiediamo solo una cortesia. Evitate di spararle a tutto spiano con decibel ben oltre la soglia di umana sopportazione. Il Natale sarebbe silenzio, o perlomeno sussurro. Ascoltatele a volume adeguato, nel tempo giusto e alla luce della candela di cui sopra. Vi garantiamo che non ve ne pentirete e che, forse, ritroverete il vero spirito natalizio.
Biglietti di auguri
I Biglietti NO! Questo Natale i biglietti non li faccio! E poi corri, al 23 sera a cercare nelle cartolerie il biglietto perfetto. Tu non vorresti, ti opponi, neghi l’evidenza, cestini tutte le cartoline che ti arrivano, ti barrichi in casa e ti dai per disperso. Ma il biglietto natalizio ti insegue. Peggio delle mosche sulla carta moschicida. Peggio dei gufi di Hogwarts all’inseguimento di Harry Potter. Peggio degli spifferi d’aria quando hai il torcicollo. Il biglietto d’auguri ti pedina, ti segue, ti trova. E quando ti trova ti lascia nell’annoso dilemma del rispondere o non rispondere: questo è il problema! Se rispondo, poi l’anno prossimo devo mandarlo di nuovo. Se non rispondo passo per maleducato. E poi via con i sensi di colpa: lui mi pensa e io no, l’Amazzonia ringrazia se non rispondo, tanto non sarebbe sincero, tanto di qui e tanto di lì. Partite da un presupposto: se non avete niente da dire o se non volete dire niente, inutile scrivere un biglietto di Natale. Vedrete che la situazione si chiarirà in un attimo e i pochi, forse, biglietti che invierete saranno gli unici sinceri e veramente importanti. Non è forse questo che conta?
Corsa sfrenata ai regali
Voi credete di essere immuni. Voi vi impuntate nel non fare regali o, almeno, nel non farvi prendere dalla frenesia. Voi provate a pianificare per tempo: “ Questa volta a fare i regali di Natale inizio il 2 gennaio!”. Poi, puntualmente, venite risucchiati nei doveri della vita e addio pianificazione. Ogni anno vi stressate chiedendovi cosa regalare alla suocera, allo zio del cugino della moglie dell’amico, al fratello che conosci meno di uno sconosciuto, al genitore vetusto e incartapecorito, al figlio che vorrebbe tutto e non sarebbe soddisfatto di niente. Qualcuno si angustia anche pensando cosa regalare, nell’ordine: al cane, al gatto, al canarino, al vicino di casa che potendo tirerebbe sotto con la macchina e – rullo di tamburi – a se stesso. Ma amici miei dai neuroni in fuga. Teste brillanti ottenebrate dal nevischio. Amori della mia vita e pargoli di Nonna Papera. È così difficile capire che la soluzione è una sola?! Non fate regali. Lasciate nell’armadio soldi, carte regalo e nastri luccicanti. Tirate fuori dal cassetto il tempo, la pazienza e l’amore. Forse riuscirete a regalarvi il benessere che solo il vero spirito natalizio può donare. (Gli Argonauti)
Lucia scivola via dal trenino e si avvia, per una delle ultime volte, al lavoro. All’altopiano vorrebbe ricreare lo spirito del Natale: il vero spirito natalizio. Vorrebbe iniziare l’anno nuovo nel migliore dei modi. Vorrebbe rendere magica l’atmosfera per coloro che ci sono e per coloro che verranno. Domani indurrà una riunione con i suoi soldati. Una riunione allargata a Lisetta, al Pittore, al Panettiere, alla Gattara e ad Ana. Una riunione per tutti quelli che ci credono dall’inizio e per chi ha iniziato a crederci ora. Fabio è a buon punto con il sito web dell’altopiano, ma i contenuti vanno aggiornati. Bisogna che sia tutto pronto per l’apertura dell’Osteria da Pio Sgrenchio il giorno di Natale. Bisogna verificare che Franco sia in chiaro per l’arrivo delle 100 mucche. Bisogna organizzare l’inaugurazione ufficiale in primavera con tanto di festa, transumanza, stampa, tv, mostra e via dicendo. Bisogna contattare le comunità di recupero della zona per informarle della nuova possibilità per quanti sono affidati alle loro cure.
Un Pippo alza il capo dal fiume e la guarda a lungo.
Poi abbassa la testa. Sembra annuisca.
Lucia sorride.
L’airone si alza in volo.
Il condottiero ha trovato la strada.
Le “statistiche del trenino” continua sabato 28 novembre 2020 con un nuovo capitolo. Non perdetevelo!